Vaticano, il Lapidario diventa museo: apre al pubblico il corridoio lungo 186 metri

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    AMICIZIA...PECCATO SIA SULLA BOCCA DI TUTTI...MA NEL CUORE DI POCHI

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    Vaticano, il Lapidario diventa museo: apre al pubblico il corridoio lungo 186 metri


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    I Musei vaticani ampliano il loro percorso, lungo sette chilometri; «presto, acquisiremo il Lapidario», spiega il direttore, Antonio Paolucci. Finora, vietato ai turisti, perché proprio sotto all’appartamento pontificio; ma papa Francesco ha deciso di vivere a Santa Marta, e quindi ogni ragione di sicurezza è ormai cancellata. E’ una galleria lunga 186 metri, con alle pareti, e sul pavimento, 3.559 iscrizioni, cippi e monumenti - cristiani e pagani - dal I secolo avanti Cristo, al VI dopo: ognuno è un frammento di storia della città; e tanti riservano gustose sorprese.

    E’ al termine del museo Chiaramonti: nel corridoio chiamato «Iulianum», perché voluto da Giulio II Della Rovere, o «corridore bramantesco» perché edificato dall’architetto di Urbino. Al termine, un passaggio immette nell’Appartamento Borgia; ed una enorme vetrata, presidiata dalle Guardie Svizzere, alle Logge di Raffaello, area ora di pertinenza della Segreteria di Stato. Insomma, siamo nel «cuore» del complesso vaticano. Il Messaggero ha percorso in anteprima il nuovo museo, che, entro un paio di mesi, verrà aperto al pubblico. Finora, apparteneva alla Biblioteca vaticana, di cui costituiva l’atrio dell’antico ingresso; perché questa, in fin dei conti, è davvero una «biblioteca di pietra».

    IL DIO MITRA
    Il Lapidario è diviso in 48 sezioni, o pareti: a destra, le pari. Come lo vediamo, è stato istituito dal 1805 al 1808 e ordinato da Gaetano Marini. Giorgio Filippi, che dirige il settore, con i suoi collaboratori Ivan Di Stefano Manzella e Rossana Barbera, ne racconta le storie più singolari. C’è perfino uno dei più grandi rilievi mitriaci, del II secolo, da Ostia: il dio Mitra, proto-concorrente del Cristianesimo e in voga specie nell’esercito, che uccide il toro rituale; proviene dal tempio delle Sette sfere di Ostia, scavato da Pio VII nel 1805, poi identificato da Rodolfo Lanciani nel 1886. E c’è un’ara senza pari trovata a Sant’Agnese, di due fabbricanti di coltelli, Lucio Cornelio Altimeto e il suo liberto Epafra: ritratti da un lato mentre battono il ferro e, dall’altro, nel loro negozio, pieno di oggetti ordinati, mentre un cliente acquista un loro prodotto. Ma soprattutto c’è uno spaccato della «storia minore» dell’Urbe d’allora.

    L’ESTETISTA
    Una lapide racconta di Quinto Volusio Anthus, un bimbo che giocava in grembo al padre; ma un carrettiere lo travolge e lo uccide con la ruota. Un’altra celebra Iulia Agele, di 80 anni: un’estetista, effigiata accanto al fornello usato per scaldare la resina con cui depilare, e accanto la cliente a gambe scoperte. C’è un cippo, con cui l’imperatore Claudio celebra la conquista della Britannia: amplia il «pomerium», il sacro limite di Roma, e allarga i confini. Ci sono vari casi di trasformazione di lapidi pagane: una del 230 circa, è di un soldato, Marco Quartinio Sabino d’origine belga, e allinea cinque divinità; però, le celtiche Mars Camulus e Arduinna sono sostituite da due tra gli dei romani. Riusata anche una lapide che ritrae i fari dei porti di Alessandria ed Ostia, con le due statue che ne rappresentano i geni: vi sono state aggiunte una croce, un’alfa e un’omega, e così è divenuta un sepolcro cristiano; già: il marmo era costoso.

    LE COLOMBE
    Sono scolpite colombe con un ramoscello nel becco: derivano da quella che annuncia a Noé la fine del diluvio, e valgono come messaggi di salvezza; un’altra, becca da un grappolo d’uva, ma tiene tra le zampe un ramo d’ulivo; altre scritte sono in greco: la lingua ufficiale della Chiesa primitiva; Filargiro, «amante del denaro» o «avido», non lo era forse poi troppo: a proprie spese, edifica a Carsoli, in Abruzzo, una cappelletta ai Lari domestici del suo padrone.

    Ci sono iscrizioni che erano alla base di statue, ormai sparite. E anche dei piccoli poemi: tre righe in esametri dall’Eneide di Virgilio per il sepolcro del pedagogo Antemio, e l’opera era già data alle stampe (di allora) nel IV secolo. Scavate a Montecitorio due iscrizioni della casa di Lucio Settimo Adrasto: un liberto, custode della colonna di Marco Aurelio («colonna di Marco e Faustina, di 100 piedi»); la prima è la richiesta a Settimio Severo di costruire qualcosa, e la seconda dimostra che ha ottenuto il permesso, e pagato le tasse; era il 193 d.C.. Sono sparite le lettere in bronzo della dedica del tempio voluta da Adriano per i genitori Traiano e Plotina, vicino a piazza di Pietra: ne è rimasto soltanto l’alveo in cui alloggiavano. Dei versi anche per Costanza, che «visse sei anni, tre doppi inverni» appena.

    Una lapide l’ha scritta Emilio Celere, «da solo, al lume della luna», e così via: «Qui giace Symphoros, siciliano, palermitano»; «Elia Vincenza, 16 anni e 2 mesi, visse con suo marito un anno meno un giorno»; l’insegna di un bagno pubblico; quella di alcune terme; due bimbi, otto e cinque anni, morti d’una malattia, a otto giorni di distanza. Nei palazzi e musei vaticani, le lapidi sono oltre 15 mila; a Roma, ci sono altre raccolte, in Campidoglio e al Museo nazionale; ma questa diverrà presto una nuova attrazione.

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